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~ Batterie a cavallo, formidabile sintesi fra cavalleria e artiglieria

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Il decano degli Artiglieri a Cavallo, Mario Saverio Donati, classe 1920, intervistato da L’ECO DI BERGAMO e dal TG3 Lombardia

26 martedì Apr 2022

Posted by Yuri Tartari in artiglieria a cavallo, Associazione Nazionale delle Voloire, celebrazioni, Fronte Russo, Guerra di Liberazione 1943-1945, Storia

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Tag

artigliere a cavallo, batterie a cavallo, Bergamo, decano, donetz, fronte russo, l'eco di bergamo, mario donati, mario saverio donati, partigiano, pumenengo, reduce, reggimento artiglieria a cavallo, resistenza, ucraina, voloire

Video intervista TG3 Lombardia: https://youtu.be/F_jipiBlySs 

«Il no alla guerra del partigiano centenario»

(di Andrea Taietti, da L’ECO DI BERGAMO, 26 aprile 2022, pag. 31)

Pumenengo (BG) – Mario Donati, 102 anni, è un reduce della campagna di Russia: partì nel 1941 e trascorse un gelido inverno nel bacino del Donestk: le guerre sono tutte una rovina per l’uomo, per cosa si muore?

«Questa guerra in Ucraina non bisogna farla. Di guerre in generale non se ne dovrebbero più fare. E io non ne voglio più sapere di guerre. Sono schifose, fanno solo danni, sono tutte una rovina per l’uomo. Si muore per cosa?».

Nel giorno della Festa della Liberazione, Mario Donati, ultracentenario di Pumenengo, che una guerra, la Seconda Guerra Mondiale, l’ha combattuta in prima persona, non può non esprimere un pensiero negativo sulla situazione attuale in Ucraina. Lui che proprio in Ucraina fu spedito per la campagna di Russia, prima di rientrare in patria e unirsi alle forze partigiane, contribuendo a liberare l’Italia.

Il freddo e i morti

«Sono partito per la Russia nel luglio del 1941, a 21 anni – racconta l’uomo che oggi ha 102 anni (festeggiati lo scorso 2 aprile) -, come parte della divisione Celere. Ho passato l’inverno nel bacino di Donetsk: ricordo ancora interi giorni dove non si incontrava nessuno e dove tutto era ghiacciato, anche i morti». Di ricordi Mario, nonostante gli anni, ne ha ancora molti. Chiari e congelati, anche quelli, nella sua mente che è sempre lucida come ai tempi migliori.

«Il freddo colpiva duro tutti – continua -. Ricordo che alcuni di noi, compreso io, venivamo spesso ospitati di notte, nella zona di Donetsk, nelle case delle persone del posto (che non avevano niente contro noi italiani, ma erano contro i tedeschi, i veri colpevoli della guerra secondo loro). Lì stavamo vicino alle stufe enormi che venivano accese per scaldarsi e dormivamo. Uno dei miei compagni, non ricordo purtroppo il suo nome, non voleva stare in guerra e nemmeno noi, ma lui era proprio esasperato, diventava matto, voleva a tutti i costi tornare a casa. Ecco, una notte, mentre eravamo ospiti in una casa del posto, con meno 40 gradi fuori, ha messo fuori le gambe dalla finestra e alla mattina le aveva completamente congelate. Così è stato rispedito in Italia, dove gli sono state amputate entrambe le gambe». Mario, invece, in Italia tornò solo 18 mesi dopo essere partito, nel 1943, non senza rischi e difficoltà.

A piedi 200 chilometri

«Per tornare dalla Russia – spiega – ho dovuto fare oltre 200 chilometri a piedi per prendere poi una tradotta. E una parte di questo viaggio a piedi l’ho affrontato con il mio compagno e amico Cattaneo sulle spalle, che aveva dolori alle gambe e non riusciva a camminare e che quindi ho trasportato in spalle a lungo finché si è ripreso». Una volta tornato nella sua casa ai Finiletti (località di Pumenengo), Mario, sempre nel 1943, decide di diventare partigiano nelle Fiamme Verdi (sede di Brescia). Nel 1948 Mario sposò Giacomina Raccagni (anche lei oggi ancora viva; di 98 anni), con cui ha avuto 3 figli, Osvaldo, Clelia e Miriam (che gli hanno dato 4 nipoti).

«Dopo la guerra – racconta Clelia, una delle figlie – ha sempre fatto il contadino e nel 1955 fu ricoverato per un anno e mezzo al Matteo Rota a causa di un forte mal di schiena dovuto alla guerra che lo costringeva a letto. Nonostante tutto però è arrivato a 102 anni».

Centodue anni e non sentirli. È proprio il caso di dirlo per Mario. Che però sperava di non dovere più vedere certe immagini di guerra e morte.

«Oggi (ieri per chi legge, ndr) – conclude l’uomo – è, come ogni 25 aprile, un giorno di festa per me. Le immagini però che vedo della guerra in Ucraina mi riportano alla mente gli orrori di quanto ho visto direttamente nella Seconda Guerra Mondiale. Ecco perché dico che di guerre non se ne dovrebbero più fare. Sono una rovina e causano solo morte e danni».

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