Lettera d’amore
di Giovanni Melandrone
Adesso che questa mia nipote prediletta, terminati gli studi, si sentiva già giornalista, le ho aperto come desiderava da tempo, quel cassetto pieno di ricordi. Sarebbe piaciuto anche a me far rivivere quelle memorie. Sotto gli occhi interessati della ragazza, apparivano ora oggetti e documenti del mio passato, della mia gioventù. Erano molti i ricordi di guerra: la sciabola cosacca, le mostrine del ”Savoia Cavalleria”, cartoline e foto, tutte ben catalogate con una piccola etichetta esplicativa. La curiosità della nipote fu subito attratta, da una busta macchiata e un fiore secco, legati assieme da un elastico e archiviata con l’etichetta “Lettera d’Amore”.
Sorpresa, quasi eccitata, mi guardava interrogativa.
– E’ la più bella lettera d’amore che abbia mai letto!
Risposi d’impeto.
– Ma è di un uomo!
Esclamò la ragazza leggendo il nome sulla busta
– Chi è questo Rolando?
Un giovane come me. A quel tempo un soldato, come me. Della mia stessa leva. Della mia terra. Ho taciuto che fosse un “senza famiglia”, che non sapesse né leggere né scrivere. Un bastardino come tanti cresciuto lassù nei boschi di Garbaoli, a fare il servitore, fra gli animali, a seccar castagne senza contatti umani, senza sapere una parola d’italiano.
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